Quale idioma è stato parlato di più dai cardinali elettori durante l’elezione di Papa Prevost? Di certo l’italiano, poi il latino e le principali lingue mondiali. Con un ruolo non marginale della carità cristiana.
La recente elezione del nuovo Papa, Leone XIV, ha avuto una straordinaria importanza spirituale, storica e simbolica non solo per il mondo cattolico.
Questo evento solenne, regolato da norme antiche e precise, ha portato con sé, tra le tante altre cose, una serie di particolarità linguistiche.
La prima riguarda la nostra lingua: poco prima dell’inizio delle votazioni, la Sala Stampa Vaticana ha infatti fatto sapere che la lingua ufficiale adottata per il conclave sarebbe stata l’italiano. Non si trattava certo di una novità, poiché l’italiano, insieme al latino, è da secoli la lingua ufficiale della Chiesa cattolica, almeno nei suoi livelli apicali. La particolarità risiede nel fatto che l’italiano era la lingua madre di soli 17 dei 133 cardinali elettori, poiché ormai da decenni il Collegio cardinalizio si è sempre più internazionalizzato. Nella Cappella Sistina, sotto l’affresco del Giudizio Universale di Michelangelo, è tuttavia probabile che gli scambi di opinioni tra i porporati, provenienti da 71 Paesi diversi, siano avvenuti anche nelle lingue a loro più congeniali.
Nel Conclave (termine che, com’è noto, deriva dal latino cum clave, ossia “con chiave” e indica che i cardinali rimangono chiusi, da soli, finché non eleggono il nuovo pontefice) non è prevista la presenza di interpreti o di un sistema di traduzione simultanea. Per i cardinali che non parlano o non capiscono l’italiano “ci si affida alla carità cristiana”, ha sottolineato il portavoce della Santa Sede, Matteo Bruni. In ogni caso, la comunicazione tra loro deve essere stata molto efficace in quanto Leone XIV è stato eletto al conclave al quarto scrutinio, ossia dopo appena quattro votazioni. Si tratta di un numero relativamente rapido, simile a quello relativo all’elezione di Papa Francesco nel 2013, che fu eletto al quinto scrutinio.
Sempre da un punto di vista linguistico, quando viene eletto il nuovo Pontefice fa sempre un certo effetto sentire la storica formula “Annuntio vobis gaudium magnum: Habemus Papam”, pronunciata dal cardinale protodiacono in una lingua non più parlata correntemente da oltre 1500 anni, ma ancora studiata in tutto il mondo. E ancora più impressione hanno suscitato i tanti video diffusi sui social in cui si vede un’ovazione quasi calcistica, soprattutto negli Stati Uniti, alla seconda parte della formula: “Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Robertum Franciscum
Cardinalem Prevost, qui sibi nomen imposuit Leonem Quartum Decimum”. Seminaristi del Texas o della California che si guardano attoniti alle parole “Robertum Franciscum” ed esplodono di gioia al “Cardinalem Prevost”. Per una lingua definita troppo spesso morta, l’essere compresa in luoghi così distanti da Roma, è davvero una gran bella soddisfazione.