Gli spagnoli e i portoghesi amano poco le parole straniere, soprattutto se possono usare dei termini corrispondenti nelle loro lingue. Si è visto anche in occasione del black-out dell’aprile scorso
Il 28 aprile scorso un grande blackout elettrico ha lasciato senza luce milioni di persone in Spagna e Portogallo – brevi interruzioni nell’erogazione della corrente si sono registrate anche in Francia sud-occidentale, Andorra e nel nord del Marocco – con conseguenze facilmente immaginabili: non solo ogni sistema alimentato da energia elettrica ha smesso improvvisamente di funzionare, ma per le successive dieci lunghissime ore non è stato possibile utilizzarne alcuno.
Metropolitane e treni si sono fermati (circa 35 mila passeggeri sono stati tratti in salvo lungo i binari nelle ore successive) e tutti gli aeroporti sono stati chiusi. Ovunque ascensori bloccati, semafori spenti, pagamenti elettronici impossibili da effettuare. Solo i telefoni cellulari hanno continuato a funzionare, anche se in modo limitato e irregolare, ma era ovviamente impossibile ricaricarne le batterie. Le antenne della rete cellulare sono infatti dotate di generatori di emergenza che permettono loro di continuare a funzionare per alcune ore in assenza di corrente. Se le antenne erano ben alimentate (per esempio vicino a ospedali o infrastrutture critiche), il servizio è stato più stabile; mentre in molte zone rurali o suburbane la rete mobile è crollata nel giro di poche ore.
L’origine dell’evento – che ha provocato indirettamente anche alcune vittime – non è ancora del tutto chiara: probabilmente è stato scatenato da una serie di cause tecniche e organizzative, tra cui oscillazioni anomale nella rete elettrica, mancata gestione della tensione e disconnessioni a catena nelle centrali. Non ci sono prove né di un cyber-attacco né di fenomeni naturali estremi.
Insomma, per qualche ora l’intera penisola iberica è ritornata molto indietro nel tempo oppure – se si preferisce – è stata proiettata in un futuro post-apocalittico. In ogni caso, sono state ore molto intense e complicate per tutti gli spagnoli e i portoghesi (si sono salvati solo gli abitanti degli arcipelaghi delle Canarie, delle Baleari, di Madeira e delle Azzorre).
Per noi italiani, questo evento ha anche un curioso aspetto linguistico. Il giorno dopo, i media spagnoli parlavano di “apagón”, quelli portoghesi di “apagão”, mentre in Italia si discuteva solo del black-out iberico. In spagnolo il termine apagón deriva dal verbo apagar, che significa “spegnere”. Il suffisso -ón serve spesso a indicare qualcosa di grande o intenso: quindi apagón è, letteralmente, “uno spegnimento grande”, cioè, stranamente, un blackout. In alcuni dizionari online, la parola spagnola viene del resto direttamente tradotta in italiano proprio con il termine inglese.
Com’è noto, gli spagnoli – come, e forse più dei francesi – tendono a usare poco le parole straniere (soprattutto gli inglesismi), per una combinazione (in italiano diremmo “mix”?) di motivi culturali, politici e linguistici. Innanzitutto, la Spagna ha un organo ufficiale molto attivo per la tutela della lingua: la Real Academia Española (RAE), che da secoli promuove l’uso del castigliano “puro” e propone alternative spagnole ai neologismi stranieri. Nei media, nella pubblica amministrazione e nell’istruzione si scoraggia l’uso superfluo di anglicismi, favorendo invece termini spagnoli equivalenti, spesso creati ad hoc. Molti spagnoli considerano infine il loro idioma un pilastro della cultura nazionale, e quindi usare termini stranieri viene talvolta percepito come una “contaminazione” inutile oppure snob.
Ovviamente alcuni termini stranieri sono entrati nell’uso comune – soprattutto tra i giovani o nei contesti tecnologici (wifi, chat, podcast) – ma tendono a essere adattati foneticamente.
Insomma, se durante le prossime vacanze estive doveste essere vittima, in Spagna o Portogallo, di una “interruzione generale dell’erogazione dell’energia elettrica in un’area geografica di una certa ampiezza”
(come recita la definizione della parola “black-out” nel vocabolario Treccani), saprete usare il termine giusto per lamentarvi. Questo non vi permetterà certo di ricaricare il cellulare, ma farete – almeno nei confronti dei connazionali con cui viaggiate – una ottima figura da fini conoscitori della lingua spagnola o portoghese!